Dalla Basilicata alla Calabria, passando dalla Campania e fino in Toscana: le soppressate è il salume della tradizione che unisce l’Italia da sud a nord e travalica anche i confini nazionali. Importata dagli emigranti italiani negli Stati Uniti, infatti, la soppressata è una delle tipicità italiane più amate anche oltreoceano. Una bontà senza tempo, capace di incontrare i gusti di tutti. Ma come è fatta la soppressata? Perchè si chiama così? E quante qualità di soppressata esistono? Per conoscere la storia della soppressata non vi resta che continuare la lettura.

Soppressata: dalla Lucania agli States, una traversata nel gusto

La soppressata, detta anche soppressa, ha origini antiche. Sembra che già nella prima metà del 1700 si producesse in Basilicata. Questa ipotesi è supportata anche dal fatto che la sua denominazione deriva proprio da due termini in dialetto lucano sopperzata e subburzzata, a indicare il particolare procedimento di pressatura a cui il salume viene sottoposto che conferisce ad esso una forma, appunto, schiacciata. 

Forse per la sua capacità di conservazione assai spiccata, la soppressata fece fortuna negli Stati Uniti d’America, fin dagli inizi del Novecento. Partita pe’ terre assaje luntane, come canta la canzone napoletana, con tanti meridionali che la portarono con sé nella valigia di cartone, insieme ai propri sogni e alle proprie speranze di una vita migliore, ben presto la soppressata si diffuse negli Stati Uniti. Qui, a tutt’oggi, si conferma uno dei prodotti italiani più apprezzati e importati.

Dall’impasto alla stagionatura, tutte le fasi produzione della soppressata

Ma come è fatta la soppressata? Quali carni si utilizzano e come vengono lavorate? Nella tradizione meridionale la soppressata viene prodotta esclusivamente con carne di maiale. Le parti utilizzate sono, essenzialmente, quelle magre come il filetto, la spalla e la coscia. Tagliate a punta di coltello, secondo tradizione, esse vengono unite al lardo che conferisce all’impasto la giusta morbidezza. Al composto fatto di carne, poi, si aggiungono sale, pepe nero in grani e in alcune varianti, come nel caso della soppressata calabrese anche peperoncino essiccato in polvere o altre spezie.

Una volta realizzato, l’impasto viene posto all’interno di un budello, sempre di maiale, pressato e, quindi, legato con lo spago. A questo punto la soppressata è pronta per l’ultima fase di lavorazione, la stagionatura, che avviene in ambienti umidi e, talvolta, dotati di fonti di calore come il camino: questo consentirà alla soppressata di assumere, una volta giunta a stagionatura, la caratteristica nota affumicata più o meno intensa. Particolare è la disposizione che viene data alle soppressate in fase questa fase: non saranno appese come il salame, bensì adagiate su ceste, assi di legno o altri contenitori dove saranno posizionate l’una sull’altra, così da favorire la pressione necessaria. La fase di stagionatura può durare da tre settimane a tre o più mesi e terminerà quando la soppressata avrà raggiunto circa il 70% del suo peso iniziale. 

Dopo la stagionatura, il salume sarà pronto per essere conservato in contenitori alti, di vetro e terracotta, messo sotto olio d’oliva o sugna, al fine di preservarne l’umidità.

Regione che vai, soppressata che trovi: ecco tutte le specialità

Viaggiando nel sud, alla scoperta delle tipicità locali, sono diverse le qualità di soppressata da assaggiare, ciascuna con una propria caratteristica relativa alla composizione dell’impasto, alle dimensioni e alla forma o ai tempi di stagionatura. Scopriamo insieme le differenze e le peculiarità di ciascuna.

Abbiamo già accennato alla soppressata di Calabria che, dalle altre, si differenzia per l’aggiunta all’impasto di polvere di peperone che, dolce o piccante, conferisce al salume una sfumatura di colore più o meno carica. Il segreto per come fare la soppressata calabrese a regola d’arte è tramandato di generazione in generazione. Dalla forma leggermente più affusolata, rispetto alle altre, la soppressata calabrese è stata anche insignita del marchio DOP, denominazione di origine prodotta e la sua stagionatura, della durata di circa 70 giorni, è relativamente breve. La soppressata lucana, al contrario, segue una stagionatura che arriva fino a cinque mesi di durata. La soppressata campana, e in particolare la soppressata di Gioi, differisce da quelle prodotte in altre regioni per la sua forma meno allungata e più tonda e anche per la disposizione delle parti grasse all’interno dell’impasto: un vero unicum nel panorama della produzione di questo salume. In Campania, oltre a quella di Gioi che è presidio Slow Food e prodotto tipico del piccolo borgo cilentano in provincia di Salerno, vi è la soppressata irpinache ha conservato, nel tempo, tutta l'autenticità dei sapori di un tempo. Preparata secondo tradizione, con parti di prosciutto di maiale, fondelli e baldelle si caratterizza per la bassa percentuale di grasso utilizzata che non supera il 10%.

Strada facendo verso nord, è in Toscana che la soppressata si annovera tra le bontà tipiche in fatto di salumi. A caratterizzare la soppressata toscana è l’aggiunta di spezie come il rosmarino, la buccia di arancia o di limone essiccata a un impasto realizzato con l’utilizzo di parti meno nobili del maiale come la cotica, la lingua o la testa. Poco più a nord, in Veneto, è a Vicenza e in tutta la sua provincia che è possibile gustare una ottima soppressata dall’aroma assai particolare, sottoposta ad una stagionatura da record che sfiora i sei mesi, il cui impasto è arricchito dalla presenza di chiodi di garofano, aglio, rosmarino e zucchero. 

Di stagione in stagione: tre modi di gustare la soppressata

La soppressata è un insaccato che, se ben conservato in maniera naturale o anche in confezione sottovuoto, può essere mangiato in ogni stagione dell’anno. Vediamo come, a seconda del momento e delle temperature può essere gustato al meglio.

Quando l’inverno si fa rigido la soppressata può accompagnare, ad esempio, un buon piatto di polenta. La nota affumicata propria del salume, si sposerà perfettamente con il sapore neutro della farina di mais. Con l’aggiunta di una fetta di caciocavallo stagionato semipiccante avremo dato vita a un piatto unico da leccarsi i baffi e da godere in abbinamento ad un calice di rosso. In primavera, poi, la soppressata potrà essere portata in tavola come antipasto, insieme ad una selezione di formaggi tipici e di sott’oli come i carciofi del Cilento o i friarielli. Con l’arrivo della bella stagione, infine, la soppressata potrà rientrare nelle proposte aperitivo: un calice di bianco ne esalterà il gusto sapido e deciso.

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